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Alu, sequenze cruciali e non spazzatura


Sebbene fosse già noto che questi elementi sono una fonte significativa di nuovi esoni nel genoma umano, è stato più difficile determinare se essi fossero biologicamente importanti

Sequenze ripetute del genoma, ritenute fino a poco fa DNA spazzatura, sarebbero alla base di cruciali differenze tra le specie, stando a quanto annunciato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un gruppo di ricercatori della University of Iowa Carver College of Medicine

Lo studio ha infatti permesso di scoprire che l'elemento Alu, una volta inserito nei geni esistenti, è in grado di alterare il tasso a cui vengono prodotte le proteine, un parametro ritenuto fondamentale per lo sviluppo di differenti caratteristiche biologiche.

“Gli elementi ripetitivi del genoma possono fornire una base per la creazione di nuove caratteristiche evolutive: comprendere i meccanismi con cui agiscono significa avere più possibilità di capire in che modo contribuiscano all'unicità dei tratti umani”, ha spiegato Xing.

Gli elementi Alu sono una specifica classe di tratti ripetitivi di DNA apparsi nel corso dell'evoluzione dei primati tra 60 e 70 milioni di anni fa e non si osservano nel genoma degli altri mammiferi.

Rappresentano la più comune forma di DNA mobile e sono in grado di essere trasposti o “saltare” in diverse posizioni della sequenza genomica. Quando giungono in regioni contenenti già geni codificanti, questi elementi possono diventare a loro volta nuovi esoni, pezzi di RNA messaggero che trasportano l'informazione genetica fuori dal nucleo.

Sebbene fosse già noto da un decennio circa che questi elementi Alu rappresentano una fonte significativa di nuovi esoni nel genoma umano, è stato più difficile determinare se i nuovi esoni fossero biologicamente importanti.

“Il dubbio era se questi esoni derivati da Alu facessero realmente qualcosa a livello di tutto il genoma”, ha spiegato Yi Xing, autore senior dello studio. “I nostri risultati mostrano ora che è effettivamente così: influenzano la produzione di proteine alterando l'efficienza con cui l'RNA messaggero è tradotto in proteine”.

In quest'ultimo studio, i ricercatori hanno utilizzato una nuova tecnologia di sequenziamento per analizzare più di 120 milioni di sequenze di RNA di cervelletto umano, per quantificare la frequenza con cui gli esoni derivati dagli Alu fossero inclusi nelle sequenze mature di RNA, che forniscono l'impronta finale della produzione di proteine, oltre a indicare come e quando vengono inseriti all'interno dei geni.

“Ciò che abbiamo riscontrato è che questi esoni tendono a evitare le regioni codificanti e finiscono in quelle non codificanti che le precedono, chiamate 5' UTR, ha concluso Xing. “Questa è la parte del gene che usualmente controlla la stabilità dell'RNA messaggero e l'efficienza con cui esso viene tradotto in proteine”. (fc)

 
 
 

Il risveglio a tappe del cervello


Spiegata la frequente dissociazione tra la percezione di essere svegli e il rallentamento della capacità sensoriali e di integrazione

Nei primi 5 minuti dopo il risveglio l'intera corteccia cerebrale presenta una consistente diminuzione dell'attività elettrica a elevata frequenza (attività beta da 15 a 25 Hz), tipicamente associata a uno stato di veglia vigile. In particolare, le aree cerebrali posteriori coinvolte nell'analisi e integrazione delle informazioni sensoriali continuano a presentare un'attività elettrica sincronizzata tipica del sonno, come se fossero le più "lente " a risvegliarsi.

La scoperta, che spiega perché nei primi minuti dopo il sonno si sperimenta una paradossale minore efficienza rispetto al momento in cui ci si addormenta, è stata fatta da ricercatori dell'Università di Roma "La Sapienza", dell'Aquila e di Bologna, e dell'Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca (AfaR), è pubblicata in un articolo apparso sulla rivista Neuroscience.

I ricercatori hanno identificato per la prima volta la base cerebrale del fenomeno che, molto efficacemente, è stato definito "inerzia del sonno" e che consiste in una dissociazione tra la percezione di essere svegli (verosimilmente legata a una ripristinata attività elettrica tipica dell'individuo vigile nelle regioni cerebrali anteriori) e un rallentamento della capacità sensoriali e di integrazione, mediato dalle aree più posteriori del cervello.

"Tutto è iniziato molti anni fa - spiega Luigi De Gennaro, coordinatore della ricerca - quando  abbiamo iniziato lo studio sistematico della fase di addormentamento e del risveglio. L'idea di base era che le diverse aree cerebrali non si addormentassero e svegliassero tutte allo stesso tempo. La persistenza di un funzionamento cerebrale in specifiche regioni ancora tipica di un individuo sveglio (durante l'addormentamento) o quella ancora tipica di un individuo che dorme (al risveglio), avrebbe spiegato tutta una serie di fenomeni comunemente sperimentati, per esempio le allucinazioni ipnagogiche o ipnopompiche, rispettivamente in addormentamento o al risveglio".

La scoperta presenta prospettive potenzialmente applicative per tutte quelle professioni che richiedono una rapida operatività (vigili del fuoco, operatori sanitari di pronto soccorso, forze dell'ordine, ma anche astronauti e militari impegnati in scenari bellici). "Si potrebbe immaginare un sistema di sensori elettroencefalografici (EEG) - aggiunge De Gennaro - che determini nelle singole regioni cerebrali il livello critico per garantire adeguate prestazioni. Le attuali tecnologie consentono ormai di miniaturizzare i tradizionali EEG, garantendo una scarsa intrusività di questi strumenti, così da renderli compatibili con lo svolgimento delle singole attività professionali". (gg)

 
 
 

GeneticNews del Professor Roberto Barale:

Forse chiarito uno dei misteri delle cellule staminali Nature 461, 891-892 (15 October 2009) | doi:10.1038/461891a

Quando una cellula staminale si divide, genera una cellula che darà origine ad un clone e poi ad un tessuto differenziato, mentre l’altra rimane “staminale” pronta a ripetere la funzione, ma mantenendo la propria potenzialità.

Quindi v’è un’asimmetria nella divisione dell’informazione della cellula madre: chi la controlla e come?

Pare che un ruolo centrale sia giocato dal Cetriolo una particella del controsoma che controlla l’assemblaggio ed il funzionamento del fuso mitotico: prima di dividersi, una cellula duplica i cetrioli e da uno “materno” se ne genera uno “figlio”: bene adesso sembra proprio che quello “materno” rimanga nella cellula che resterà con le caratteristiche “staminali”, mentre quello “figlio” determinerà il destino di cellula in via di replicazione e potenziale differenziamento.

 
 
  GeneticNews del Professor Roberto Barale:

La Genetica della Domesticazione:
Credo non esista biologo, o chicchessia, che non abbia apprezzato lo straordinario  libro di Jared Diamond “ Armi, acciaio e malattie”: gli ultimi 13.000 di evoluzione dell'umanità. Tra i punti focali che hanno condizionato lo sviluppo delle varie etnie dell’umanità v’è la possibilità di domesticare gli animali e Diamond osserva che per la maggior parte degli animali potenzialmente utili all’uomo quelli africani non è domesticabile: tra gli equini la zebra, tra gli uccelli, lo struzzo, tra i pachidermi l’elefante africano ed il rinoceronte, tra i bovidi  il cheetah (bufalo africano)  ecc.
V’è in tutto ciò una base genetica?
Presso l’istituto di Citologia e Genetica di Novosibirsk  il genetista Dmitry Belyaev da 50 anni conduce esperimenti di selezione di ratti per i due comportamenti estremi: docilità e aggressività: così dopo una serie di reincoci sono stati selezionati  ratti che sono più docili di una pecorella e ratti che sono così aggressivi da dare l’impressione che solo una decina di essi  possa aggredire ed uccidere rapidamente un uomo. Sempre Belyaev, nel 1959, iniziò a selezionare  volpi argentate incrociando tra di loro quelle più mansuete. Dopo solo 4 generazioni alcune volpi incominciarono  a scodinzolare, dopo 8 generazioni le orecchie si flettono e le code si accorciano, il cranio si allarga e le volpi divengono più rilassate al momento dell’accoppiamento. Dopo 20 anni di reincroci sono state create le volpi argentate perfettamente domestiche. Le diversità anatomiche sono evidenti: quelle domestiche presentano una ridotta attività dell’asse “ipotalamico-pituitario-adrenalinico”, presentano maggiori livelli di serotonina, un neurotrasmettitore che inibisce il comportamento aggressivo. Belayeav poi si interessò al visone Americano, noto per la sua straordinaria aggressività. Dopo selezione di 200 animali relativamente mansueti da un lotto di 30.000 e solo 4 reincroci erano evidenti i primi segni di un inizio di domesticabilità. Ma come per le volpi anche qui comparvero modifiche anatomiche come il cambiamento del colore. Negli anni 80, nell’isola di Sakhalin incominciarono a selezionare la lontra di fiume: dopo 13 anni e tre generazioni iniziarono a comparire soggetti domesticabili che presentavano una precocità nella riproduzione e  cambiamenti nella biochimica del cervello.
Adesso il famoso antropologo molecolare Svante Paabo si appresta ad analizzare il genoma di 15 ratti aggressivi e 15 rati mansueti per scoprire le differenze genetiche e gli eventuali geni coinvoli in questo tipo di comportamento.
Probabilmente anche noi uomini siamo il prodotto della domesticazione: negli ultimi 30.000 anni il nostro cranio, i denti, mandibola, hanno subito gli stessi mutamenti  che sono avvenuti in altri animali addomesticati, come nel cane, dice l’antropologo Richard Wrangham, di Havard. Ma chi ci ha addomesticato? “è stata un’auto addomesticazione”perché la selezione naturale ha favorito gli individui che mostravano un comportamento cooperativo, epurando dai contesti i soggetti  più aggressivi ed antagonisti.

 

 
  STOCCOLMA - Il Nobel per la Medicina 2009 ha premiato le ricerche di base che hanno aperto la strada allo studio della longevità. Elizabeth H. Blackburn, Carol W. Greider and Jack W. Szostak hanno infatti scoperto la funzione delle strutture che proteggono le estremità dei cromosomi, chiamate telomeri, e l'enzima che li costituisce, la telomerasi. 

La ricerca. Capire il meccanismo che protegge i cromosomi durante il processo di divisione cellulare è stato a lungo un rompicapo. I tre scienziati sono riusciti in questa impresa, individuando nei telomeri la difesa più importante contro i danni che i cromosomi possono subire nella fase di divisione cellulare, costituendo perciò la protezione più importante contro la degradazione e l'invecchiamento. Elizabeth Blackburn e Jack Szostak sono stati i primi a individuare i telomeri; successivamente la Blackburn, insieme alla sua allieva Carol Greider, ha identificato l'enzima che "fabbrica" il materiale genetico necessario a costruire i telomeri: la telomerasi, che produce nuovi mattoni di informazione che vanno a integrare i telomeri. La telomerasi è quindi la chiave per controllare l'invecchiamento cellulare: più la cellula ne produce, più il suo invecchiamento viene ritardato. 
Secondo l'Accademia svedese, la scoperta ha favorito lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per le malattie nelle quali è in gioco l'invecchiamento cellulare, come i tumori, dove la produzione di telomerasi è eccessiva. 

 

 
 

Nelle duplicazioni del DNA l'individualità, e la salute, delle persone


Un nuovo procedimento computazionale consente per la prima volta il conteggio delle sequenze duplicate di DNA presenti nel genoma di una persona

 
 
 

Un nuovo procedimento computazionale messo a punto da ricercatori dell'Università di  Washington consente per la prima volta il conteggio delle sequenze duplicate di DNA presenti nel genoma di una persona, il cui numero varia da soggetto a soggetto.

La duplicazione di segmenti nel genoma umano è stata associata alla suscettibilità o alla resistenza a diverse malattie. Segmenti duplicati sono stati correlati a patologie come il lupus, la malattia di Crohn, forme di ritardo mentale, schizofrenia, cecità ai colori, psoriasi, degenerazione maculare della retina. Queste duplicazioni contengono spesso copie di geni la cui funzione è ancora sconosciuta. La determinazione del loro numero, contenuto e localizzazione rappresenta un passo importante per riuscire a comprendere come le variazioni nel numero di copie influiscano sullo stato di salute. 

"Nuovi metodi computazionali in associazione con la tecnologia di sequenziamento del DNA di ultima generazione hanno consentito per la prima volta un accurato censimento di specifici geni presenti in molteplici copie", ha detto Can Alkan, che con Evan E. Eichler e Jeffrey M. Kidd firma un articolo in merito su "Nature Genetics".

"Questo è un modo per affrontare alcune delle più complesse regioni del genoma umano e fare quella che potrebbe sembrare una cosa molto semplice: contare se una persona possiede una, due o tre copie di un gene. In realtà questo conteggio è straordinariamente difficile", spiega Kidd. La maggior parte delle tecniche standard di analisi del genoma escludono infatti le regioni ricche di duplicazioni o di ripetizioni in quanto le loro sequenze non sono uniche e univocamente identificabili. 

Prima di questo studio, analizzando l'intero genoma di un undividuo era possibile dire se esso possedesse più copie di un singolo gene, ma senza riuscire a determinarne il numero assoluto. In questo modo si è comunque riusciti a capire, per esempio, che la presenza di una ridondanza di copie di un certo gene conferisce una certa resistenza al virus HIV, ma non si è potuto stabilire con quante copie si manifesta tale fenomeno.

La capacità di determinare accuratamente e in modo sistematico il numero assoluto di copie per qualsiasi segmento di genoma costituisce dunque un passo importante verso un quadro completo e veritiero dei genomi individuali e del modo in cui il genoma plasma le caratteristiche di una persona.

 

 
 

 

Cani con le zampe corte
tutta colpa di un retrogene

Una ricerca americana spiega il ruolo di un gene duplicato nell'alterazione della crescita delle ossa. Una scoperta con importanti implicazioni anche nello studio delle malattie umane (da Repubblica)

 

Il bassotto

TUTTA colpa di un gene, come sempre. Adesso a lamentarsi delle proprie basi biologiche ci saranno anche i cani bassotto, quelle splendide salsicce con le zampette (non a caso in inglese si chiamano anchesausage dog), insieme con i cani pechinesi, i basset hound e i corgi, insomma, tutti quelli che hanno le zampe corte, molto sproporzionate rispetto al corpo. Per studiare le ragioni di una tale anomalia si sono scomodati gli insigni scienziati dell'American National Human Genome Research Institute di Bethesda, nel Maryland, che hanno guardato ai geni dei cani per capire qualcosa di più sul nanismo umano. 

Gli scienziati hanno analizzato campioni del Dna di 835 cani di 76 razze diverse e hanno scoperto che negli esemplari con le gambe corte c'è un gene duplicato, un "retrogene", che causa la sovrapproduzione di una proteina, la FGF4. Tale proteina altera la crescita delle ossa durante lo sviluppo embrionale e causerebbe anche, secondo gli scienziati, la crescita rallentata delle zampe di bassotti e simili. 

Lo studio di Bethesda è, inoltre, un altro esempio delle innumerevoli nuove conoscenze che vengono dalla ricerca sul genoma umano. Le mutazioni di un gene e l'azione di un retrogene, come quello che produce la proteina FGF4, sono meccanismi noti, ma ogni volta che gli scienziati indagano a fondo su una parte del Dna scoprono qualcosa: in questo caso particolare, hanno avuto la prova che il ruolo del retrogene è molto più ampio di quanto si pensasse nel causare diversità all'interno delle specie e ha implicazioni profonde nel processo evolutivo. 

Del "gene" del bassotto i ricercatori hanno anche rintracciato l'origine, di sicuro anteriore a 14mila anni fa. Questa è la data a cui, grazie ai fossili, si fa risalire la domesticazione del cane, e la comparsa di quelli a zampe corte è di sicuro anteriore. Chi dunque si era fatto l'idea che il bassotto si fosse lentamente evoluto in quelle dimensioni per andare a scovare meglio le prede nelle tane dovrà ricredersi: a causare una tale mutazione in un gene può essere un retrovirus. 

Chissà poi se, una volta che la mutazione ha avuto luogo, il cane con le zampe corte non abbia fatto buon viso a cattivo gioco e non si sia specializzato nello stanare topi e altre piccole prede dai buchi. 

La scoperta di Bethesda, pubblicata su Science, ha comunque implicazioni importanti anche per la ricerca sulle malattie umane. La malattia che negli esseri umani si manifesta con disturbi della crescita, quali appunto il blocco dello sviluppo degli arti, si chiama ipocondroplasia e nei due terzi dei casi è dovuta a una mutazione del gene FGFR3. Ora però gli scienziati sanno che ci sono geni simili, che vanno studiati più da vicino, capaci di causare lo stesso problema almeno nei cani. 

 

 
  Spermatozoi artificiali.

Gli scienziati inglesi dell'università di Newcastle hanno creato il primo spermatozoo artificiale. La riproduzione fa così un altro passo dalla camera da letto verso la provetta. E anche se le prime reazioni all'esperimento inglese - che partendo da una cellula staminale embrionale umana è riuscito a far maturare uno spermatozoo in laboratorio - salutano un futuro in cui l'uomo non sarà più indispensabile per la fecondazione, a leggere bene i dati si scopre che la realtà è esattamente l'opposta. 

Quando infatti le cellule staminali di partenza sono state ricavate da un embrione di sesso maschile - spiega la rivista Stem Cells and Development, che ha pubblicato lo studio - ne è nato uno spermatozoo in grado di fecondare una cellula uovo. Le staminali di sesso femminile al contrario si sono arrestate alle prime tappe del processo di maturazione del gamete maschile, troppo lontane dalla metà per promettere alle donne un futuro di indipendenza dal punto di vista riproduttivo. Dal piccolo e gracile cromosoma Y, caratteristico del sesso maschile, allo stato delle conoscenze attuali non si può dunque prescindere per far nascere un cucciolo d'uomo. 

Lo sperma ottenuto in laboratorio in Gran Bretagna non verrà usato per fecondare alcun ovulo, perché le leggi inglesi non lo permettono. Quando il processo di maturazione di una cellula si svolge completamente fra vetrini e brodi di coltura, è possibile che nel Dna si creino dei danni e il bambino nasca con dei difetti gravi. E la Human fertilisation embryology authority, cui sono affidati questi temi di ricerca in Gran Bretagna, in questo caso sceglie di derogare al suo notorio liberalismo: "Il livello di sicurezza dei gameti derivati in vitro è sconosciuto. Gli scienziati temono che il processo davvero complesso che porta alla loro creazione possa causare delle anomalie nei cromosomi o altri gravi difetti genetici". 

Gli spermatozoi artificiali di Newcastle, hanno notato anche i loro "papà" in camice bianco, non hanno la stessa motilità, o "vivacità", di quelli normali e c'è il sospetto che di fronte a una vera cellula uovo (quella sì, impossibile da ricreare in laboratorio) finiscano col fare flop. "Il nostro obiettivo è capire in dettaglio cosa avviene quando uno spermatozoo si forma. Abbiamo bisogno di conoscere le cause dell'infertilità maschile per arrivare a curarle" ha spiegato Karim Nayernia, professore di genetica umana e leader dell'équipe dell'università di Newcastle. 

Nuovi esperimenti e il progredire delle conoscenze potrebbero comunque avvicinarci alla creazione di uno spermatozoo in vitro abbastanza sicuro da consentire la fecondazione di un ovulo. Per questo la Human fertilisation authority non chiude nessuna porta davanti a sé, prevedendo che "tra 5-10 anni lo sperma prodotto in vitro potrà forse essere usato per risolvere problemi di infertilità". 

Mentre in Gran Bretagna la ricerca sulle "cellule bambine", in grado di trasformarsi in qualunque tessuto dell'organismo, procede a buon ritmo, martedì gli Stati Uniti hanno varato le loro nuove linee guida per l'utilizzo delle staminali embrionali. Il presidente Barack Obama aveva annunciato un'apertura rispetto alla rigida legislazione del predecessore George W. Bush. E il nuovo regolamento prevede in effetti l'erogazione di finanziamenti pubblici per ricerche che usano gli embrioni abbandonati nelle cliniche delle fertilità, oltre a facilitare l'importazione di queste cellule dall'estero. Continua però a negare fondi agli esperimenti in cui le staminali siano state ricavate da un embrione creato ad hoc e poi distrutto esclusivamente per scopi di ricerca. 

Si stima che le linee di cellule usate dalla scienza Usa possano aumentare da circa sessanta a diverse centinaia. La prossima volta che sentiremo parlare di spermatozoi artificiali, forse, non è un istituto inglese che dovremo citare, ma un gruppo di scienziati americani. 


 

 

 
 

Finalmente: il clonaggio di un topo da cellule adulte senza l'uso di embioni, oociti, blastocisti.

Da Nature.

Recent landmark experiments have shown that transient overexpression of a small number of transcription factors can reprogram differentiated cells into induced pluripotent stem (iPS) cells that resemble embryonic stem (ES) cells1–7. These iPS cells hold great promise for medicine because they have the potential to generate patient-specific cell types for cell replacement therapy and produce in vitro models of disease, without requiring embryonic tissues or oocytes8–10. Although current iPS cell lines resemble ES cells, they have not passed themost stringent test of pluripotency by generating full-term or adult mice in tetraploid complementation assays3,11, raising questions as to whether they are sufficiently potent to generate all of the cell types in an organism. Whether this difference between iPS and ES cells reflects intrinsic limitations of direct reprogramming is not known. Here we report fertile adult mice derived entirely from iPS cells that we generated by inducible genetic reprogramming ofmouseembryonic fibroblasts. Producing adult mice derived entirely from a reprogrammed fibroblast shows that all features of a differentiated cell can be restored to an embryonic level of pluripotency without exposure to unknown ooplasmic factors. Comparing these fully pluripotent iPS cell lines to less developmentally potent lines may reveal molecular markers of different pluripotent states. Furthermore, mice derived entirely from iPS cells will provide a new resource to assess the functional and genomic stability of cells and tissues derived from iPS cells, which is important to validate their utility in cell replacement therapy and research applications.

 

 
 

Mangiare bene per proteggere bocca e gola

“Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”. Lo diceva nel quinto secolo avanti Cristo il medico greco Ippocrate, considerato il padre della medicina moderna, convinto della grande influenza dei cibi che mangiamo sul nostro stato di salute. 
Anche i medici di oggi sono d’accordo con il loro antico maestro nel sostenere l’importanza dell’alimentazione: la dieta sana ed equilibrata è infatti considerata uno dei pilastri della prevenzione non solo in campo cardiovascolare, ma anche in campo oncologico. 
A dimostrazione di ciò, un gruppo di ricercatori italiani sostenuti da fondi AIRC e coordinati da Carlo La Vecchia, ha chiarito che anche il rischio di sviluppare tumori della bocca e della faringe si modifica a seconda del tipo di dieta che si segue. 
Quando si parla di cibo e cancro, in genere si pensa ai tumori di stomaco, intestino e colon retto, ma non bisogna dimenticare che il cibo per raggiungere lo stomaco passa per bocca e faringe dove si possono originare tumori. 
Sicuramente il tabacco e l’alcol sono i due fattori di rischio più importanti e nei Paesi sviluppati sono responsabili di oltre l’80 per cento di questi tumori, che sono più diffusi di quanto si crede: ogni anno in Italia vengono diagnosticati 4.500 nuovi casi di tumore della bocca, quasi sempre in fumatori, e circa 6.000 casi di tumore della faringe. 
Ma se anche l’alimentazione ha un ruolo importante in queste patologie, quali sono i cibi che aiutano a prevenirle? Secondo i dati recentemente pubblicati da Garavello e colleghi, per tenere lontano il cancro da bocca e faringe è importante mangiare molta frutta e verdura. 
Sono indicate soprattutto le verdure crude e a foglia verde, i pomodori, le carote e gli agrumi, alimenti ricchi di carotenoidi, vitamina C ed E, flavonoidi, polifenoli e fibre che hanno effetti anti ossidanti e aiutano a eliminare le sostanze cancerogene nell’intestino. 
Fanno bene anche i cereali integrali, mentre bisogna fare più attenzione a quelli raffinati. 
Per quanto riguarda i cibi ricchi di proteine (carne, uova, pesce eccetera) i dati disponibili non permettono di arrivare a un giudizio definitivo: si pensa che non ci sia un legame troppo stretto tra questi cibi e i tumori di bocca e faringe, ma gli esperti consigliano comunque di limitare il consumo di carne, specialmente se grigliata o molto cotta, e di preferire eventualmente una bella cena a base di pesce. 
Via libera anche al caffè (e al tè) per chiudere il pasto secondo la migliore tradizione italiana. 
“In linea generale, in Italia, il 20-25 per cento di questi tumori dipende da una alimentazione povera di frutta e verdura” spiegano gli autori “e il rischio si impenna se a una dieta sbilanciata si aggiungono alcol e fumo”. Per garantire la salute di bocca e faringe, dunque, stop ad alcol e sigarette, ma attenzione anche a ciò che si mangia.

 

 
 

Integrative genomics, personal-genome tests and personalized healthcare: the future is being built today

Christine Patch and co-workers are from a human genetics background and they are members of the Public and Professional Policy Committee of the European Society for Human Genetics. In their article, they argue for regulatory control of direct-to-consumer genetic testing in Europe. They argue, among other things, that the clinical utility of many genetic tests is still unknown, and that, as only few interventions are available, an unfavorable test result will rarely lead to longer and healthier life. Observing the development of an emerging market of commercial genetic services, they ask for guiding principles to reduce the potential harm stemming from these developments to maintain public trust in genetics. The authors also give a comprehensive overview about current statements and regulations in the US, Canada and Australia concerning pre-market review, quality assurance, and advice and advertising. They point out that, whereas in these countries, as well as in the UK, regulators have placed genetic tests into a higher risk category requiring greater oversight, the majority of tests within Europe are classified as low-risk devices (and processes), meaning that claims are not reviewed before tests are marketed and that test marketing is on the basis of a system of self-certification.[...]>>>>>

http://www.nature.com/ejhg/journal/v17/n8/full/ejhg200932a.html

 

 
   

Rimodellare il DNA per regolare i geni

Come fa un elefante a entrare in una cabina del telefono o il cammello a passare per la cruna dell’ago? Ma soprattutto, come fa la molecola di DNA a essere contenuta nel nucleo della cellula? Quest’ultima è stata una domanda di fondamentale importanza per gli scienziati alle prese con i primi studi sulla struttura del DNA e la sua collocazione all’interno della cellula. 
Sabrina Pinato e i suoi colleghi dell’Università del Piemonte Orientale hanno concentrato la loro attenzione proprio su una proteina in grado di modificare la struttura del DNA. 
Ma facciamo un passo indietro. Il nostro genoma è un lungo filamento costituito da oltre 3 miliardi di mattoncini (basi) disposti uno dietro l’altro. Questi mattoncini sono solo quattro diversi tipi e l’ordine con il quale si susseguono è diverso per ognuno dei geni presenti nel genoma. 
Anche se singolarmente sono piccolissime, messe una in fila all’altra tutte le basi che compongono il DNA danno origine a un filo lungo quasi 2 metri, tutto contenuto all’interno di uno spazio, il nucleo della cellula, che invece misura in genere solo pochi micrometri (detti anche micron, ognuno dei quali è un milione di volte più piccolo del metro). 
Oggi il mistero è stato risolto: si parla di superavvolgimento del genoma, cioè di una serie di ripiegamenti del filamento di DNA che lo portano a ridurre la propria dimensione fino a raggiungerne una compatibile con il nucleo della cellula. Semplificando notevolmente possiamo dire che il filamento di DNA si avvolge attorno a proteine dette istoni e continua a ripiegarsi secondo una sequenza ben precisa di movimenti fino alla forma finale di 46 cromosomi, presenti in ognuna delle nostre cellule. 
Questa forma “compatta” in cui si presenta il DNA si chiama cromatina ed è essenziale per permettere al materiale genetico di essere contenuto nel nucleo. Dal punto di vista dell’espressione dei geni può però costituire un problema: così impacchettato, infatti, il messaggio contenuto nel DNA e rappresentato dalla sequenza delle basi non può essere letto e le proteine che si occupano di questa operazione non riescono nemmeno a raggiungere le basi. 
Ecco allora che la cromatina si svolge e si riavvolge all’occorrenza, in risposta a specifici segnali che arrivano dall’interno o dall’esterno, e permette la lettura del DNA e l’espressione dei geni. 
Una proteina coinvolta nel cosiddetto “rimodellamento” del DNA è dunque molto importante anche per determinare la corretta espressione dei geni, spesso modificata in caso di cancro. 
Con il loro lavoro, finanziato anche da AIRC, i ricercatori piemontesi hanno scoperto che la proteina chiamata RNF168 si lega a due istoni ( H2A e H2AX ) e contribuisce in questo modo a modificare la struttura della cromatina. Inoltre RNF168 interviene in caso di danno al DNA (come avviene nel cancro) per garantire la risposta corretta e immediata da parte della cellula. 
Queste scoperte per ora sono limitate al bancone del laboratorio, ma possono avere in futuro anche importanti risvolti per la cura del cancro, dal momento che rimodellare la struttura del DNA può essere la chiave per regolare l’espressione di molti geni, inclusi quelli che causano l’insorgenza dei tumori o la loro resistenza ai trattamenti.

 

 

 
  High marks for GWAS pp765 - 766
Stephen Chanock
doi:10.1038/ng0709-765
Two genome-wide association studies for testicular cancer report associations at three new loci, including two candidate genes previously implicated in testicular development, KITLG (ligand for the receptor tyrosine kinase) and SPRY4 (sprouty 4). These studies are notable for the high effect sizes detected and the biological plausibility of the candidate genes.
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Melanoma: come combatterlo con il sistema immunitario
Importanti novità dalla ricerca italiana.

 

 
Prevenire il tumore con l’aspirina
Un gruppo internazionale di esperti ha fatto il punto sull’utilizzo di farmaci antinfiammatori molto comuni come l’aspirina per la prevenzione dei tumori ...

 

 
I microRNA ci svelano le caratteristiche del mesotelioma
I ricercatori dell’Università del Piemonte Orientale hanno scoperto che l’espressione di alcuni piccoli frammenti di RNA gioca un ruolo fondamentale nel mesotelioma ...

 

 
 
Come vengono controllati i regolatori dei geni
Scoperti nuovi meccanismi che controllano la formazione dei microRNA, piccolissime molecole che regolano l’espressione dei geni e hanno un ruolo importante in molte forme di tumore ...

 

 

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Last update: 30/06/2009